RigoNote

pensieri e appunti di uno che non regge il colpo

  • I corpi sono finiti. Ogni corpo è contenuto in uno spazio. Se un corpo non fosse contenuto, esso non avrebbe confini.
  • Lo spazio che contiene tutti i corpi deve essere infinito. Se fosse finito, esso avrebbe confini. Se avesse confini esso sarebbe contenuto in un ulteriore spazio, e quindi non conterrebbe tutti i corpi. Quindi, lo spazio che contiene tutti i corpi è infinito.

@rigoni@mastodon.galileivr.org

  • Il monolite non si può scalare. Laddove non ci sono appigli, impurità, imperfezioni, non c'è modo di risalire la china di un blocco semplice. Allo stesso modo il linguaggio non può scomporre ciò che è già semplice in partenza.
    • Si prenda ad esempio di nuovo l'atomo. Esso è per definizione non scomponibile, non divisibile; il linguaggio rimbalza contro di esso e non può fare altro che definirne le proprietà e i comportamenti. La storia cambia quando esso diventa materialmente scomponibile: a quel punto tutto ciò che ne deriva diventa oggetto di linguaggio e il linguaggio ne può finalmente dire.
    • Ne deriva che il linguaggio è una questione di messa a fuoco. Esso non può dire nulla del tutto e nulla del semplice. Nulla del tutto in quanto per poter maneggiare l'intero occorre poterlo circoscrivere, nulla del semplice in quanto per manipolarlo occorre che sia scomponibile. Il linguaggio dunque abita l'intermezzo tra il semplice e il tutto.
  • Il tutto è ciò che contiene. Esso non è contenuto da alcun contenitore e, secondo la fisica, è in espansione.
    • Perché qualcosa si espanda è necessario che vi sia un sistema di riferimento. Esso deve contenere l'espansione, oppure l'espansione ne deve eccedere. Per il tutto il sistema è di nuovo il tutto, ma in un tempo differente. Il tutto (a) è meno espanso del tutto (b); il tutto © sarà più espanso del tutto (b) e così via. Si tratta di un chiaro caso di relativismo e non esistono assoluti secondo cui il tutto sarebbe in espansione.

@rigoni@mastodon.galileivr.org

  • L'atomo è il semplice. E' ciò che non è divisibile. E' la particella che Democrito pose a mattone dell'Universo. Ma l'atomo è oggi divisibile e quindi il semplice va ricercato oltre esso.
  • L'energia è la lingua comune dell'universo conosciuto. Essa si condensa in materia, si trasmette in gravitazione e si disperde in calore. Essa soltanto è il semplice inteso in senso assoluto.
    • Gli stati che l'energia assume portano l'universo alla complessità; tale complessità può essere riconosciuta dal senso comune in due tipi: l'ordine e il caos. Tale distinzione però è fuorviante in quanto il caos è un ordine con un grado di complessità molto più ampio.
    • Es. supponiamo che un generatore di numeri random dia in uscita la sequenza 2-4-8-16; in essa si può riconoscere facilmente un ordine di complessità molto basso; la sua ratio, individuata a posteriori, è la potenza del 2. Se però ottenessimo un serie del tipo 16-3-65-23 probabilmente nessuno di noi riuscirebbe a riconoscere un ordine al suo interno. Ma la differenza tra la prima e la seconda serie non è una differenza qualitativa ma quantitativa, in quanto anche la prima serie è complessa, ma con un grado di complessità per cui essa può essere facilmente ricondotta ad una informazione più semplice.
    • Se il Dio giudaico-cristiano è un principio ordinatore, dunque, esso interviene nel caos per riportarlo ad un grado di complessità minore. Egli divide la luce dalle tenebre, le acque superiori dalle inferiori, etc.; Egli dunque mette le cose al suo posto, risale l'entropia e volge alla semplicità affinché il mondo sia abitabile. Ma esso si pone in modo diametralmente opposto al principio Divino induista, che nella notte dei tempi si divide in maschio e femmine per dare poi origine a tutta la stirpe dei viventi, dagli uomini alle formiche. E da allora, in quel caos generatosi dal brulicare delle specie viventi, la legge vedica non ha fatto altro che rincorrere l'ordine attraverso il sacrificio, il samsara ed il sistema delle caste.

@rigoni@mastodon.galileivr.org

  • Se la complessità è la tendenza degenerativa dell'uomo, essa ne è la Caduta. Il mondo che volge al complesso si allontana sempre più dall'Uno originario e della sua puntiforme essenza, cedendo alla corruzione del molteplice.
    • Se ne ricava, senza grande sforzo, che il divino ha a che fare con la semplicità originaria e non con la sua deriva articolata. In questo senso hanno ragione quei filosofi che contrappongono l'Uno originario al molteplice della sua frammentazione negli enti. Ma sbagliano essi a darne una articolazione metafisica in quanto l'Uno non è nè un ente, nè l'essere e nemmeno l'Essere: non vi è dimensione ontologica e nemmeno ontica di questa contrpposizione. L'uno è semplicemente il semplice e non un “qualcosa” che è semplice. La differenza è quella che intercorre tra la marmellata e lo zucchero; mentre la prima è dolce, il secondo è il dolce.
    • Il divino è nel semplice non perchè questo sia semplice da cogliere. Esso è, come detto, non un ente; ma se ne trova traccia negli enti. Come Husserl si meravigliava di poter far filosofia dinanzi ad un boccale di birra, così la teologia deve sorgere dalla fenomenologia dell'ente. Soltanto che mentre la fenomenologia husserliana all'ente si ferma, la teologia fenomenologica coglie nell'ente il suo divino manifestarsi. Tale manifestazione non è un segno del divino, e nemmeno un suo atto, ma essa stessa accade come divinità.
    • Come nel sistema formale algebrico vi è uno scarto non riducibile al sistema che è la semantica (Godel dimostra che perchè a = b si significativo, occorre il gesto semantico del dire cosa è a, = e b), allo stesso modo il divino risiede nel gesto di creazione che pone l'ente nel mondo, e il mondo a contenere l'ente: solo che questo gesto, lungi dall'esser stato compiuto una volta per tutte, avviene sempre ed in ogni istante.

@rigoni@mastodon.galileivr.org

Piú ci si sprofonda nella materia, più i fattori di divisione e di opposizione si accentuano e si estendono. Per contro, più ci si innalza verso la spiritualità pura, più ci si avvicina all'unità, la quale può realizzarsi pienamente solo mediante la coscienza dei principi universali. (René Guénon, La crisi del mondo moderno, p. 61)

– La complessità è, secondo Guénon, una conseguenza della supremazia dell'azione sulla contemplazione. Tale supremazia ha la sua massima espressione nel mondo occidentale (anti-tradizionale), ovvero la cultura che volge al suo tramonto o, come dicono gli orientali, al kali-yuga. – Due tendenze dunque, secondo quanto appena detto, si verificherebbero nel mondo moderno: da una parte l'azione porta ad un vissuto istantaneo e, dunque, al mutamento continuo, alla disgregazione, alla molteplicità ed, infine, alla complessità. Dall'altra la contemplazione (o conoscenza) eleva il vissuto ad un tempo eterno (inteso come “senza tempo”), e quindi alla sintesi, all'unità e alla “coscienza dei principi universali”. – Se è chiaro a ciascuno cosa si intenda per “azione” (essa rimanda subito agli affari quotidiani, alle occupazioni lavorative, ai passatempi etc.), meno immediato è immaginare che cosa sia la contemplazione (o conoscenza) che si intende in queste parole. La via non può essere, infatti, un semplice prodotto culturale, ma ciò che accomuna pratiche di contemplazione tradizionali (orientali e occidentali si intende). In esse dev'essere rinvenibile un quid che non sia di nuovo un “fare”, ma che permetta, aldilà del semplice senso comune, di percorrere effettivamente una via di unità ed eternità.

@rigoni@mastodon.galileivr.org

  • Tutto, nel mondo in cui operano le moderne condizioni di produzione e consumo, tende alla complessità.
    • Per complessità si intende un algoritmo di azione e di risoluzione più articolato, ovvero con una quantità di istruzioni maggiore e non raccoglibili attraverso cicli di istruzioni.
      • La tendenza alla complessità è spiegabile secondo la legge, già freudiana, dell'inconscio. Applicata alla ricerca del senso, la complessità risiede nell'apertura di un piano ulteriore che risente di un numero dimensioni direttamente dipendente dal numero degli elementi in gioco. Come lo specchio nell'ascensore apre lo spazio e previene la sensazione claustrofobica di chi vi si chiude dentro, così la complessità apre il piano dell'esistenza immanente a dimensioni pur sempre immanenti ma che prevengono la noia dell'esistente. In entrambi i casi si tratta, ovviamente di un gioco di specchi.
      • Un uomo entra in un locale ed ordina un bicchiere di vino; mentre l'oste lo sta servendo l'uomo cambia idea e chiede una fettina di torta: l'oste gliela serve, lui la mangia, poi ringrazia ed imbocca l'uscita. L'oste lo rimprovera e gli ricorda che non ha pagato, ma l'uomo risponde che aveva ordinato un bicchiere di vino e non una torta. L'oste gli fa notare che nemmeno il vino è stato pagato e l'uomo risponde che è vero, ma egli non l'ha mica bevuto.
    • Un bambino che costruisca il modellino di una ferrovia sentirà prima o poi il bisogno di complessificare il tracciato con un tunnel e degli scambiatori. Così l'uomo di ogni età approccia e pianifica in generale la sua esistenza: dice di sognare il tempo libero e una vita tranquilla, ma in segreto lavora per pianificare passatempi stressanti e rende continuamente impossibili delle relazioni serene.

@rigoni@mastodon.galileivr.org